Fedeltà alle radici
Giuseppe Vitolo, poeta e professore, ideatore e curatore dell’Atlante linguistico ed Etnografico della Costa d’Amalfi, legato visceralmente alla sua terra salernitana; oltre che al capoluogo, a Castiglione del Genovesi (patria dell’illuminista settecentesco, che ha occupato la prima cattedra di Economia politica presso l’Università di Napoli, celebrando la libertà e la felicità), oltre gli impegni scolastici, ha sempre coltivato un intimo e intenso rapporto con la poesia e la linguistica. I volumi, pubblicati dal meritorio Centro di Cultura e Storia Amalfitana, ora impegnato a sviluppare il summenzionato Atlante, lo attestano emblematicamente, concentrandosi su quel territorio, che deve ritenersi il naturale prolungamento della sua Salerno, partendo dal centro storico e irradiandosi sulle costiere, che devono ritenersi le sue consorelle antropologiche e culturali, quella amalfitana e la sua continuazione geografica, la sorrentina, che da Punta della Campanella l’avvicina a Capri.
Siamo all’interno di una realtà geografica e antropica straordinaria, che per primo ho amato definire “montuosamente marina”, ossimoro, che trova piena conferma nella poesia di Alfonso Gatto e nella schiera di artisti, italiani e stranieri, che l’hanno prescelta come un luogo dell’anima, un sicuro paradiso sulla terra, come ebbero a sottolineare Salvatore Quasimodo, nel suo mitico Elogio di Amalfi, e John Steinbeck, in quello di Positano. Ma il discorso si estende oltre, a Sant’Agata dei due golfi, quello salernitano e napoletano, che deve ritenersi l’epicentro esemplare di una congiunzione tra due costiere e due mondi, che ho cercato di mettere in evidenza con un libro collettaneo dedicato ad Amalfi e ad alcuni scrittori che l’hanno amata e vissuta. Basta, del resto, per confermare questa eccezionale realtà affacciarsi dal belvedere del Monte Faito, in particolare di Santa Maria del Castello, quindi in territorio di Vico Equense (Napoli), per ammirare dall’alto dei Monti Lattari la sottostante marina di Positano. Sembra quasi di poterla toccare con mano e gli abitanti della montagna, che ho avuto occasione di contattare, tra questi il pittore di Monte Faito, Benito Ferraro, con il quale ho condiviso la scrittura di una corposa Guida, mi hanno ricordato lo stretto interscambio, fondato sul baratto, tra le tribù della montagna e quelle della marina, che risalivano faticosamente le sue chine.
Questo personale prologo geografico risulta indispensabile per penetrare le fatiche linguistiche del nostro autore, il quale si è diviso tra i terrazzamenti arabi della divina costiera, dove risplende un limone unico al mondo, lo sfusato, dal quale si ricava il corrispondente liquore, e le propaggini montuose di alture irregolari, che incombono su di essa e la rinfrescano con numerose acque sorgive, per cui a metà costiera è possibile bagnarsi nel mare e sentirsi docciati da acque immacolate, provenienti direttamente dal monte.
Questa bipolarità geologica, sulla quale conviene profondamente insistere, deve ritenersi la radice e ragione fondamentale della bipolarità linguistica dei volumi di Giuseppe Vitolo e del conseguente Atlante virtuale. La sospensione tra mare e montagna, entrando nello specifico, non può non risentire delle influenze storiche di dominazioni e incursioni, a cui soprattutto la costiera amalfitana era esposta, come documentano le sue numerose torri di varia età, ma soprattutto vicereali, che la costeggiano, per avvistare predonerie piratesche, particolarmente frequenti. L’appartenenza al Regno di Napoli e poi a quello delle due Sicilie di questi territori è di vitale importanza, perché è radice di appartenenza a un territorio linguistico fortemente caratterizzato, ma è anche ragione di scambi con altre regioni meridionali, come la Sicilia, raggiunta dalle avventurose imbarcazioni vietresi per lo scambio di ceramiche.
La linguistica è una di quelle scienze, che consente di unificare vari domini geografici, antropologici, storici, e l’esperienza dello scrivente, derivante dall’esplorazione letteraria e umana di tutto il Mezzogiorno d’Italia, riviene nelle le ricerche qui raccolte un solido sostrato linguistico basato su alcune fondamentali deduzioni, contenute nei puntuali volumi illustrati del nostro autore, come nella loro diretta emanazione rappresentata dalla versione informatica dell’Atlante.
Innanzitutto, la fedeltà alle radici, che il dialetto racchiude nel suo scrigno mentale e sentimentale, con una perfetta corrispondenza tra corpo linguistico e territoriale, il quale, pur esposto a inevitabili contaminazioni storiche, resiste eroicamente ad ogni intrusione allotria, che non si sposi armonicamente con la sua struttura originaria. La costiera “primitiva e selvatica”, come ebbe a definirla felicemente la pittrice e ceramista Irene Kovaliska, di origine polacca, pur se attraversata da insospettabili e intensi flussi migratori, che indurrebbero a paragonarla a una sorta di Parigi marina, per la presenza di artisti, scrittori, coreuti, registi, che hanno lasciato un segno né effimero né episodico, è come se avesse, nel corso dei secoli, salvata la sua anima dialettale, non cedendo alla tentazione, ampiamente diffusa nelle aree urbane del nostro bel Paese, di essere e apparire diversa, assecondando modi e stili di vita che non le appartenevano. È stata semmai lei ad imporli ad altri forestieri e stranieri, che l’attraversavano e restavano abbagliati dalla sua genialità creativa e critica, favorita da una spericolatezza naturale, che hanno comunque assorbito e rielaborato nel loro universo artistico e letterario, per limitarsi solo ad alcuni ambiti, disponibili ad estendersi ad altre coste ed isole viciniori.
Per restare ancora in un contesto personale, i nostri luoghi più caratteristici e accattivanti, presi di mira soprattutto da turisti stranieri, non si sono mai lasciati miracolosamente contaminare, pur mostrando sempre cordialità e ospitalità, pur parlando, per pratica più che per cultura, la loro lingua, dalla loro cospicua e vantaggiosa presenza. Parlavano sì molte lingue del mondo ma la loro unica e vera lingua era il dialetto e anche le loro consuetudini di vita restavano sorprendentemente quelle originarie dei loro familiari, nonni, genitori, figli, con i quali solo in dialetto riuscivano a comunicare tutti sé stessi.
Un’ultima osservazione riguarda il leitmotiv iniziale, cioè il rapporto tra mare e montagna, tra marinai e contadini, marinai di montagna e contadini di mare, fondamentale, anche se trascurato, per comprendere la storia del nostro amato Sud. Dicevano gli antichi che la terra conserva e il mare consuma, nel senso che, anche linguisticamente, l’entroterra appare più conservativo rispetto alle sue aperture marine. Credo che, ancora una volta, le nostre costiere, sospese tra mare e monti, rilancino problematicamente una serie di questioni irrisolte, e i volumi di Vitolo e il correlato Atlante telematico confermano questa asserzione, spalancando orizzonti infiniti a future sperimentazioni linguistiche, le quali non potranno che continuare ad animare e arricchire le straordinarie potenzialità di un territorio unico al mondo e di una lingua, di cui, grazie ad appassionati ed eroici ricercatori sul campo, come il nostro avido e ardente autore, rimane la voce più assoluta e autentica.
Francesco D’Episcopo